Nelle isole greche
come nella terraferma si parla ancora di lui, dello straniero che tanto tempo
fa venne in Grecia lasciando al suo passaggio una scia di morte e terrore. Se
ne parla sì, ma con toni da leggenda, da fiaba per spaventare i bambini. Eppure,
quando ogni tanto accade che una ragazza scompaia senza lasciare tracce o venga
ritrovata viva ma con piccole ferite al collo, una parola viene sussurrata con
timore nelle comunità di pescatori:
βρυκόλακας.[1]
La
Grecia e le nazioni del Mediterraneo in genere sono la sua zona di caccia
preferita da tanti di quegli anni che ha dimenticato quanti. Fu proprio ad
Atene (o era Smirne nell’attuale Turchia? Non riesce a ricordarlo) che incontrò
un giovane nobile inglese: il futuro famoso poeta e scrittore noto come Lord
Byron e gli raccontò la sua storia. Non ha mai saputo con certezza se Byron
avesse davvero creduto a quello che gli raccontò, ma di certo rimase abbastanza
impressionato dal tema del vampirismo da inserirlo in un suo poema[2] e
da farne oggetto di un racconto che non completò mai.[3]
Ironicamente fu il medico personale di Byron, l’italoinglese John Polidori a
trarre dal frammento di Byron un racconto che avrebbe reso popolare la figura
del vampiro aristocratico.[4]
Augustus
Darvell, Lord Ruthven, il Conte di Marsden: tre nomi per un unico individuo che
non gradì molto che si parlasse di lui e la collera di un vampiro può essere
terribile.
#40
SANGUE DI VAMPIRO
1.
Semplicemente
a vederlo è difficile immaginare quest’uomo arrabbiato. I lineamenti fini e
l’espressione del viso lo classificherebbero come uno di quei ricchi annoiati,
che indossano abiti firmati e che passano da una festa all’altra perché non
sanno cosa fare del loro tempo. Eppure, a guardarlo con più attenzione, si
potrebbe notare uno strano lampo nei suoi occhi e scoprirli d’un tratto molto
più penetranti di quanto poteva sembrare mentre il sorriso mostra irrisione e
disprezzo.
Se gli chiedeste chi è e come e perché
è diventato quello che è probabilmente non saprebbe rispondervi. È un vampiro
da così tanto tempo che i ricordi della sua precedente esistenza gli sembrano
avvolti nella nebbia dei sogni. Il nome che preferisce è Ruthven, ma se sia o
non sia il suo vero nome, forse nemmeno lui saprebbe dirlo.
Naturalmente se gli faceste certe
domande, la risposta sarebbe presto priva di importanza: i morti ed i vampiri
non hanno le stesse curiosità dei vivi dopotutto.
Quali che siano le sue riflessioni sono
interrotte dal miagolio di un gatto. Una gatta nera per la precisione, che
sembra apparsa dal nulla e si dirige tranquilla verso di lui mentre i suoi occhi
brillano nell’oscurità.
-Buonasera, Carmilla.- la saluta Ruthven –Devi sempre essere
così teatrale?-
La gatta
muta la sua forma diventando una giovane donna dai lunghi capelli neri con
strani riflessi dorati che indossa una camicetta di pizzo molto scollata,
pantaloni da cavallerizza e stivali dai tacchi molto alti. Le manca solo un
frustino e sarebbe perfetta, pensa Ruthven con un sogghigno.
-Che gusto ci sarebbe ad essere quel che siamo se non
potessimo divertirci un po’?- ribatte la vampira austriaca.
-Quel che siamo? Siamo dei parassiti che per continuare
questa parvenza di vita devono sottrarre l’energia vitale degli esseri umani.
Nient’altro che questo.-
-Sei noioso Ruthven. Parli come quell’antipatico Varney.-
-Varney disprezza il suo essere un vampiro, se potesse si
abbandonerebbe con gioia alla vera morte, ma tu ed io siamo diversi, non è vero
Contessa Carmilla Von Karnstein? Noi non rinneghiamo i nostri appetiti, ma li
accettiamo. Non abbiamo più sensi di colpa verso i vivi di quanti ne abbia un
lupo davanti ad un gregge di pecore. Noi siamo della razza dei dominatori.-
Il sorriso
di Carmilla agghiaccerebbe l’uomo più coraggioso.
-Mi stai proponendo un’alleanza Ruthven? Contro chi? Spero
non contro Lilith. Non ho alcun interesse a mettermi contro la Signora dei
Vampiri.-
-Non sono così pazzo. No… aiuteremo Lilith contro Deacon
Frost, è lui il nostro vero nemico: non si fermerà finché non ci avrà distrutti
tutti nei suoi folli piani di dominio, quindi dobbiamo fermarlo prima noi.-
-Mi fa piacere sentirtelo dire, Ruthven.- la voce di Lilith
Dracula sembra sferzare l’aria mentre avanza nel salone –Mi fa piacere vedere
che i miei due fidati luogotenenti non complottano contro di me.-
Ironia?
Probabile, ma i due vampiri non hanno alcuna voglia di approfondire. Ruthven
accenna un inchino mentre Carmilla piega leggermente le ginocchia mormorando:
-Mia Signora.-
Lilith
sogghigna e si siede sul piccolo trono al centro della sala poi parla:
-Avete detto di sapere dove si trova Frost. Bene: è venuto
il momento dello scontro finale tra lui e me e stavolta mi assicurerò che
rimanga morto.-
Simon
Stroud si risveglia nella sua camera d’albergo con la bocca impastata e la gola
secca. Ha fatto un sogno ma non ne ricorda più i contorni.
Il suo
ultimo ricordo è quello di essere tornato in albergo dopo aver interrogato
Angel O’Hara. Un vicolo cieco: deve lasciar stare quella ragazza e pensare ad
un altro modo per trovare la figlia di Dracula.
Si dirige
in bagno per una doccia veloce e farsi la barba. Si sciacqua il volto
rapidamente e quando alza gli occhi verso lo specchio, ci vede scritta sopra
una parola:
AIUTO
Riconosce
la calligrafia: è la sua.
Charles
Seward guarda la figura di donna seduta sul pavimento al centro di un
pentagramma nella posizione del loto e scuote la testa.
-Da quanto tempo è così?- chiede.
-Beh… da tutta la notte ormai.- risponde l’Ispettore Capo
Chelm .
-Non mi piace. Che sappiamo di questa Victoria Bentley?-
-Suo padre era uno studioso di cose occulte che morì in
circostanze oscure.-[5]
risponde ancora Chelm –Pare che sia il Cavaliere Nero che Capitan Bretagna
abbiano molta stima di lei.-
Seward
spazia con lo sguardo sulla stanza d’ospedale dove lui e l’uomo di Scotland
Yard si trovano attualmente. Ai lati di Victoria Bentley ci sono due letti su
cui giacciono rispettivamente un uomo ed una donna entrambi biondi.
-Speriamo che questa donna sia davvero capace di risolvere
la situazione…- conclude -… o i nostri pazienti saliranno a tre.-
2.
Katherine Fraser sbatte gli occhi e dice:
-Dove ha detto che siamo?-
-Nel regno di Incubo naturalmente.- risponde
Victoria Bentley.
-Lei… lei pronuncia quel nome come se
appartenesse ad un essere vivente.-
-Beh… non so se sia la definizione giusta.
Stephen…, il Dottor Strange, il mio maestro, lo definiva un essere concettuale,
l’incarnazione degli incubi appunto. Sia come sia, esiste e questo è il suo
regno e se non ne usciamo al più presto, rischiamo di restarvi intrappolati per
sempre.-
-E lei saprebbe farci tornare a… casa?- chiede
Frank Drake.
.-Sì, almeno finché la mia ancora col mondo reale
non si spezza e sempre che Incubo non cerchi di fermarci.-
-Se dovesse provarci, quel demonio assaggerà la
mia lama benedetta.- afferma Solomon Kane.
-Ahimè, temo che anche la sua lama fallirebbe
contro un essere della potenza di Incubo, mio valente spadaccino.- commenta
Victoria
-Un momento…- interviene Frank
-… capisco perché io e Kate siamo qui, ma lui?- indica Solomon Kane.
-Il tempo nel regno di Incubo
non ha lo stesso valore che nel nostro.- spiega Victoria –Forse questo Kane non
è che l’eco di un sogno antico o forse nel XVI secolo Kane si è addormentato ed
è finito preda di Incubo anche lui. Se usciremo da qui, forse anche lui tornerà
al suo giusto tempo.
In
una stanza d’ospedale una candela posta ai lati di un pentacolo oscilla e si
spegne,
-Il nostro tempo è appena
diminuito.- sentenzia Victoria –Dobbiamo muoverci finché non è troppo tardi.-
“Forse è già troppo
tardi.” risponde una voce profonda.
La pioggia si è fatta sempre più forte e battente. Questo
non è un comune temporale, ma l’avviso di un uragano.
-Forse sarebbe meglio che spazzasse via
questa casa e tutto quello che rappresenta.- dice Donna Garth.
-Non dici sul serio.- ribatte Blade –Devi
avere anche dei bei ricordi di questo posto.-
-Oh certo…- la voce di Donna esprime
l’idea opposta alle sue parole –Forse quando ero bambina, prima che papà e
mamma cominciassero a litigare e lei se ne andasse, prima del risentimento tra
me e mio padre. Se le case fossero accumulatori di negatività, nessuna batterebbe
questa,-
Erano
tornati alla villa dopo uno sfibrante interrogatorio alla Centrale di Polizia.
Per fortuna i detective avevano creduto alle loro giustificazioni per la morte
orribile di Bruce Mason, il marito di Donna, e li avevano lasciati andare. Il
fatto che almeno un paio di quei detective, per esempio il sergente Sam Jagger,
avessero già avuto esperienze con minacce che avevano a che fare con l’occulto
aveva avuto il suo peso.
Donna
aveva voluto preparare i bagagli e partire subito, ma l’uragano aveva cambiato
tutto: niente voli e di mettersi in viaggio in auto neanche a parlarne.
Il
destino aveva voluto trattenerli un’altra notte in quella casa e chissà cosa
aveva ancora in serbo per loro.
Nell’attesa
che arrivi il tramonto, i vampiri riposano nelle loro bare, i loro corpi
adagiati nella terra della loro sepoltura.
Nel
loro sonno di morte, mentre aspettano di risvegliarsi e tornare a cacciare per
nutrirsi, hanno forse i loro sogni? E se sì quali sono? Dominio o semplice
sopravvivenza?
Il
sole fa il suo giro senza fretta. A mezzogiorno in punto Deacon Frost spalanca
gli occhi. In quel breve momento in cui si racconta che un arcivampiro potrebbe
lasciare la tomba pur senza poter usare i suoi poteri, egli sente che i suoi
nemici lo stanno braccando e presto troveranno le sue tracce, che vengano,
pensa, io saprò accoglierli come meritano.
3.
I quattro
volgono lo sguardo verso l’alto: il cielo ora è diventato il volto di un uomo
dalla carnagione pallidissima, capelli nerissimi e ispidi, naso a becco e occhi
come la brace.
-Incubo!- esclama Victoria
Bentley
“In persona ed ho
sempre trovato di cattivo gusto lasciar andar via i miei ospiti senza essermi
presentato. Anzi… ripensandoci… non mi è mai piaciuto lasciar andar via i miei
ospiti quando i loro sogni sono così interessanti.”
-Tu non hai il potere di
impedirci di andarcene.- lo apostrofa Victoria –Le regole dicono che non puoi
ostacolare il nostro ritorno nella terra dei viventi.-
Alle parole della maga appare un sentiero dorato che sale
fino a svanire nel nulla.
“Molto Mago di Oz, ma
non servirà a molto.”
- Non dategli retta.- esclama
Victoria rivolta agli altri tre. Salite sul sentiero. Finché vi sarete sopra,
lui non può farvi nulla.-
“Sostanzialmente
corretto…” ammette Incubo “…
purché raggiungiate l’uscita entro il tempo stabilito…” si ode un
rumore simile ad un “plop” e nel mondo reale un’altra delle candele poste da
Victoria sul suo pentagramma si spegne “... e non ve ne
rimane molto ahimè.”
Simon Stroud ha la sensazione di aver perso solo tempo. A
quanto pare l’Ispettore Chelm è tornato in ospedale. Deve raggiungerlo o
aspettare che torni? Deve dirgli che quella di Angel O’Hara è una pista morta e
che presto tornerà a New York. Ma non c’era anche qualcos’altro? Qualcosa che
ha visto al suo risveglio ma che ora non riesce a mettere a fuoco. Ogni volta
che ci prova, gli sfugge.
Istintivamente
si gratta il collo. Maledetto prurito, non immaginava che in Inghilterra ci
fossero così tante zanzare. Basta, decide, andrà in quel dannato ospedale e
parlerà con Chelm. Dà un’occhiata all’orologio. Non si era reso conto che fosse
così tardi, ma quanto ha dormito? Possibile che l’effetto del jet lag duri così
a lungo?
Dopo
essersi guardato intorno in cerca di un taxi, Stroud decide di dirigersi verso
la metropolitana, la Sotterranea, come la chiamano da queste parti. Inglesi,
con loro perfino la lingua comune è un ostacolo, per non parlare del fatto che
circolano dalla parte sbagliata della strada.
Mentre
Stroud si dirige verso la stazione della metropolitana, viene notato da un uomo
dai lunghi capelli neri parzialmente coperti da un cappello a larghe falde,
dalla carnagione pallidissima e gli occhi coperti da grandi occhiali scuri. Lui
qui? Pensa l’uomo, sorpreso, mentre lo riconosce. Che sia venuto qui per me?
Impossibile nessuno può sapere che sono venuto qui dopo aver lasciato Roma,
nemmeno io lo sapevo. Al diavolo, devo sapere, devo seguirlo.
Il
sole tramonta e quasi simultaneamente in quattro diverse parti della Grande
Londra quattro paia di occhi si aprono e quattro vampiri escono dalle loro
bare.
A
Westminster Deacon Frost raggiunge il suo laboratorio. Ha ancora delle cose da
sistemare prima che il suo piano possa cominciare. Si ferma davanti a quello
che sembra il cadavere in decomposizione di una donna che indossa un abito da
sera strappato e logorato in più punti, un cadavere che, per qualche motivo, è
incatenato ad una parete, ed ha un paletto di legno conficcato all’altezza del
petto. Dopo un attimo di riflessione il vampiro smuove il paletto. Gli occhi
del cadavere si animano e una parola esce a fatica dalle sue labbra:
-Frost…-
-Ah, mia cara Van Helsing.- la voce di
Frost è insolitamente allegra –Ti trovo bene tutto sommato, magari un po’
sciupata. Da quanto non ti nutri? Due, tre mesi? Magari stanotte ti porterò un
topolino o due.-
-Sei un mostro Frost.- esclama sia pure
con un filo di voce la vampira chiamata Van Helsing –Vorrei essere libera per
poterti uccidere.-
Frost
ride di gusto.
-Io un mostro? Strano detto dalla consorte
di Dracula. Non hai tu stessa ucciso più di un innocente per soddisfare la tua
sete di sangue? Ma forse a parlare è la cacciatrice di vampiri che eri quando
eri in vita. Sarebbe interessante scoprire quanto di lei è rimasto in te,
dopotutto. Comunque ormai non ha importanza.-
-Che… che vuoi dire?-
-Che ormai i miei esperimenti sono quasi
completati e dopo stanotte sarò in grado di scatenare su questa patetica
nazione un orrore che nemmeno immagina e Londra sarà la prima a provarlo.-
Se
i vampiri possono tremare di paura, questa è esattamente la sensazione che
prova Rachel Van Helsing.
4.
Un volo
notturno mi ha riportato a Londra da Boston. Avevo una mezza idea di ritornare
al mio vecchio ufficio di Los Angeles, ma qualcosa mi ha riportato in Inghilterra.
Chiamatelo istinto, sesto senso o come volete, ma fatto sta che ho sentito
chiaramente che era necessario che io fossi qui stanotte ed è una sensazione
che ho imparato a non sottovalutare.
Mi
chiamo Hannibal King e sono un vampiro.
Simon Stroud si ferma
di colpo e senza darne l’impressione dà un’occhiata intorno. Nessuno in vista a
quanto sembra. Ha avuto la sensazione che qualcuno lo seguisse ed ha usato il
vecchio trucco del guardare una vetrina per controllare se fosse vero. Nessuno,
a quanto pare, ma questo non dimostra nulla: se il suo pedinatore fosse stato
un vampiro non si sarebbe riflesso nella vetrina. Ma perché gli è venuto di
pensare ai Vampiri? Le storie di Chelm devono averlo suggestionato.
Alle
sue spalle un uomo dalla pelle chiarissima esce da un vicolo. C’è mancato poco,
pensa, è ancora troppo presto perché Stroud lo veda, quando accadrà, sarà alle
sue condizioni.
L’uomo
si toglie gli occhiali scuri, ormai inutili col buio, e fissa Stroud in
lontananza con due occhi dalle iridi rosse come braci.
Victoria Bentley esorta i suoi compagni:
-Svelti, non abbiamo molto
tempo.-
-Perché? Cosa sta succedendo?-
chiede Frank Drake.
-Il nostro tempo è agli
sgoccioli.- spiega Victoria –Se non arriveremo in cima al sentiero prima che si
esaurisca, resteremo intrappolati qui per sempre.-
-Milady…- interviene Solomon
Kane -… di solito non sono tenero con le streghe, che in genere sono figlie del
demonio, ma sento di potermi fidare di voi, contate su di me per proteggervi.-
“Non è cavalleresco?” dice sarcastico
Incubo “Non preoccupatevi, qui vi troverete
benissimo, ve lo garantisco io.”
Victoria precede tutti un passo alla volta.
-Non uscite dal sentiero,
finché ci starete sopra, Incubo non può farvi niente ma se ne usciste…-
Davanti a loro una luce oscilla e si spegne.
“Sempre che il
sentiero regga abbastanza” afferma Incubo ridacchiando.
5.
Molto più a Est, sul
Golfo del Messico, un uragano si scatena. Nulla di paragonabile al terribile
Katrina di qualche anno fa, ma di certo chi vi si trova in mezzo non è
contento. La forza del vento e della pioggia si abbatte sulla grande villa
padronale come la furia di un antico dio irato e per quanto ne sa Blade
potrebbe essere proprio così: forse uno dei Loa protettori di Calypso non ha
preso bene quanto accaduto alla sua mambo. Magari il Baron
Samedi, Signore dei Cimiteri, non ha gradito il trattamento degli
zombie richiamati in suo nome.
Un altro
accantonerebbe questi pensieri come sciocche superstizioni, ma Blade ha visto
troppe cose nella sua vita per non considerare anche questa probabilità e non
sarebbe sorpreso se anche Donna Garth la vedesse allo stesso modo.
Le imposte cedono ed è inutile tentare di
richiudere le finestre: la forza della pioggia e del vento potrebbe addirittura
rompere i vetri.
-Guarda!- urla, Donna.
Blade segue lo sguardo della sua
compagna e non è sicuro di quel che vede: tra i lampi e la pioggia
all’orizzonte si staglia una figura che sembra Calypso e che avanza nell’aria
verso di loro. Alle sue spalle una figura che in un altro contesto sembrerebbe
buffa: uno scheletro con frac e cilindro la sovrasta, nelle sue orbite vuote
qualcosa di maligno.
All’improvviso
ecco apparire una nuova figura: sembra Fratello Voodoo ma senza mantello.
Afferra la figura femminile per i polsi. La donna si dibatte ma l’altro la
tiene con forza e le due figure si fondono per poi scomparire.
Un
fulmine si abbatte sul terrazzo spezzandolo in due mentre i due abitanti della
villa vengono sbalzati all’interno del salone ed un tuono assordante copre le
loro grida.
-Siamo vivi?- chiede una perplessa Donna
Garth.
-Pare di sì.- risponde un Blade
altrettanto confuso.
Su
quel che rimane del terrazzo piccole fiammelle danzano sotto una luce spettrale
poi si spengono una alla volta mentre nel vento sembra echeggiare una risata
che si perde a poco a poco, la risata argentina di una donna, allegra e priva
di minaccia.
Se
mai c’era un pericolo, ora è passato, pensa Blade. Chissà se davvero Fratello
Voodoo è intervenuto oppure lui e Donna hanno avuto una specie di
allucinazione? No, questo si sente di escluderlo.
Se
potesse vedere oltre il cancello della villa, Blade vedrebbe una donna con un
lungo abito nero che le lascia scoperte le braccia ed ha lunghi spacchi
laterali che partono dalle cosce. I capelli lunghi e ricci le incorniciano il
bel volto color ambra. Uno sguardo più approfondito rivelerebbe che la
fortissima pioggia non la sta bagnando.
Un
giorno sarai mio Blade, pensa la donna, è solo questione di tempo, ma fino ad
allora goditi la libertà che io ti concedo finché non deciderò di stringere il
guinzaglio che non sai nemmeno di avere. Fratello Voodoo, il Dottor Strange e
gli altri tuoi amici possono pensare di proteggerti, Calypso, Deacon Frost e
gli altri tuoi nemici possono sperare di ucciderti, ma sarò io sola a decidere
quando il filo della tua vita sarà strappato.
Canticchiando
una vecchia canzone creola Marie Laveau, la Regina Voodoo di New Orleans si
allontana sotto la pioggia.
Nella
villa che era appartenuta ai Westenra Lilith Dracula stira le labbra in un
malefico sorriso e rivolge lo sguardo alla ragazzina incatenata al letto.
-Ricordati di fare quel che ti ho detto
quando sarà il momento, piccola Ariann.- le dice.
-Lo ricorderò.- replica mestamente Ariann
Wright.-
-Ne sono certa, in fondo, che ti piaccia o
meno, non puoi fare altro… e poi… è la tua sola opportunità di essere sicura di
compiere 14 anni.-
Ridacchiando
la Figlia di Dracula si trasforma in pipistrello volando incontro al suo nemico
lasciandosi dietro una tredicenne piangente.
Victoria Bentley esorta gli altri tre:
-Presto, presto: non abbiamo
molto tempo per raggiungere la fine del sentiero.-
“Ha ragione, sapete?” interviene
Incubo “Esistono molti modi per arrivare qui e
per andarsene. I più comuni, ovviamente sono rispettivamente addormentarsi e
svegliarsi. Accade talvolta che qualcuno non sia più capace di svegliarsi e sia
condannato a restare qui… a meno che qualcuno non sia capace di riportarlo
indietro. Come ho già detto, esistono molti incantesimi per riuscirci, ma praticamente
tutti hanno una cosa in comune: un tempo limitato per fare quel che deve essere
fatto. Il tuo qual è, Miss Bentley? Finché non si spegneranno le cinque candele
accese ai lati del pentacolo che protegge il tuo corpo mortale, giusto? Quante
se ne sono già spente: tre?”
PLOP
“Oops… quattro. Te ne
rimane solo una. Quanto può reggere ancora una sola candela Miss Bentley,
quanto?”
FINE
QUARANTESIMO EPISODIO
NOTE
DELL’AUTORE
Davvero
pochissime note stavolta:
1) All’inizio
dell’episodio sono citati due pseudonimi di Lord Ruthven, entrambi hanno
un’origine letteraria, vediamola: Augustus Darvell era il nome del vampiro che
avrebbe dovuto essere il protagonista negativo del racconto incompiuto appena
poco più dell’inizio, scritto da Lord Byron che fu fonte di ispirazione al suo
medico privato John Polidori per scrivere il racconto “Il vampiro” in cui
apparve per la prima volta Ruthven. Conte di Marsden è, invece, l’alias usato
da Ruthven nella seconda parte dello stesso racconto. Naturalmente non è un caso
che Lord Marsden sia anche il nome assunto dal Maestro della Notte arcinemico
di Harlan Draka il Dampyr nell’omonima serie pubblicata dalla Sergio Bonelli
Editore e creata da Mauro Boselli & Maurizio Colombo. -_^
2) Credito a chi il
credito è dovuto: sempre a Mauro Boselli debbo l’idea che sia stata la
conoscenza con il vero Ruthven ad ispirare prima Byron e poi Polidori nel
creare il prototipo del vampiro gentiluomo. In realtà io e Boselli abbiamo
seguito sentieri un po’ diversi, anche se pure io mi sono divertito a suggerire
che forse le morti di Byron e Polidori (rispettivamente malattia e suicidio)
sono state provocate da Ruthven. Magari un giorno o l’altro io o un altro
autore di MIT potremmo narrare la storia dell’incontro di Ruthven e Byron e
magari altri retroscena. Chi può saperlo?
3) Chi è il misterioso
individuo pallido e con gli occhi coperti da occhiali scuri (che sia
fotofobico? -_^) che sta seguendo Simon Stroud? Andiamo: non posso credere che
non l’abbiate indovinato. Se così non fosse, tranquilli: lo saprete prestissimo. -_^
Nel prossimo
episodio: quando i vampiri si fanno la guerra, nessuno è al sicuro. In più:
fuga dal regno di Incubo, il ritorno di alcuni
comprimari che non si vedono da tempo e una guest star a sorpresa.
Carlo